martes, junio 28, 2022

“INTIME DISTOPIE” – ANNA RITA MERICO SU “DONNE DA MACELLO” DI FERNANDA GARCÍA LAO


(Fragmentos del ensayo de Anna Rita Merico)
Iperrealismo iniziale. La narrazione apre il proprio sipario sulla macelleria in cui il protagonista ha trascorso infanzia e adolescenza. Immagini in bilico tra tele di Francis Bacon e interni da squarci di cucina nella pittura fiamminga. La ripetizione ossessiva che lì aveva a che fare con la sottolineatura della ricchezza accumulata, qui ha a che fare con il vuoto nullificante dell’ossessione. La notte è il primo attacco di tempo. Notte e, subito, alba. Un baratto: io affilo coltelli e tu mi paghi corso. Legame zero. Solo movimenti rapidi, reiterati. Odore di ferro. Quel particolare odore che ha a che fare con i tagli sanguinolenti, con il rancido e con la morte. Tagliare, disinfettare, pulire, fuggire. Tagliaredisinfettarepulirefuggire mentre l’uccello che sveglia l’alba si dissolve.
Il corpo si presenta subito irretito tra ripetizione e indifferenza. La scena cambia. La narrazione procede a salti. Il cambio è repentino quasi che l’ambientazione nella macelleria paterna fosse solo uno sprazzo randagio di memoria. La dimensione della narrazione diviene narrazione di dentro. La città di Rawson è apocalittica, custodisce corpi tranciati e lucide descrizioni di come le donne vengono sempre più immesse e connesse al progetto della Giunta al governo. Unici testimoni un uomo e una bambina che irrompono intorno e dentro ad un autobus, per due volte, due trasparenze che vanno.
Selezione, analisi, test, esame, vaccino. Tutto incalzante in un assoluto immobilismo, il gigante ha i piedi nel fango. Moloch che si nutre di corpi, di pezzi, di inganni del tempo, di menzogna. Ciò che si svela è un interno battuto dai venti della perdita di sé. La mistura di corpi e linguaggio tiene il protagonista nel dentro-fuori: un occhio per guardare quanto gli accade intorno, un occhio per registrare i propri movimenti alla macchina da scrivere al fine di registrare, catalogare formulari, redarre, riportare, tenere dentro al protocollo, elaborare, archiviare.
Corpi sfatti e disfatti, putrescenze inspiegabili. La distopia, nella trama, è una psicosi dell’anima, una psicosi che inchioda l’occhio al dentro in maniera irrimediabile. Tutto scorre e mi avvicino al momento in cui le selezionate raggiungeranno gli eroi con cui mettere al mondo la purezza della perfezione. Jacinto, lascia essudare uno scorcio di pensiero critico rispetto alla situazione gommosa in cui si trova. Non riesco a staccarmi dalla lettura, incalzante, scrittura asciutta oltre ogni dire, ritmo da tamburo. Una trama che si apre a ventaglio. Mi affascina una scrittura ispida, angolosa, precisa come taglio di bisturi eppure mai avvitata su se stessa, mai torbida pur rostrando scenari torbidi.
Quale il tema dell’Origine di una scrittrice in America Latina? Nel fondo fondo di ogni sostrato cosa farne di un’Europa, terra madre, che ha macellato cultura del/nel continente americano? Dal punto di vista dei periodi storici, questa è storia recente, quanto continua a lavorare questa Storia se pur in aspetti apparentemente rimossi? Letteratura internazionale, dunque, come necessità di inforcare occhiali che ci indichino dinamiche di fondazione di una scrittura letteraria. Se ciò non avviene rischiamo di restare in un mentalismo fatto di paragoni con altri autrici/ori o con etichette che fuorviano comprensioni. Un grande cambiamento ha a che fare, sempre, con il ripatteggiamento del tema della maternità ossia dell’elaborazione dell’origine. Di ciò il testo ci dice.
Il viaggio di Jacinto è viaggio di uscita dall’utero, è viaggio di ricerca della forma umana al di là di ogni Storia obiettivamente data. Ogni pagina di Storia riguardante la guerra o una dittatura, a qualsiasi latitudine avvenga, mette in scena il disprezzo per l’umanità, agita la sevizia dei corpi e delle volontà. Ogni pagina di storia in cui parla la dittatura, dice sempre di una regressione dell’umanità, di un disprezzo dell’alterità.
In questa narrazione è presente tutto il tema della maternità, del corpo femminile: luogo della prima alterità e della prima radice di umanizzazione. Tra le righe è narrato tutto l’odio covato nel progetto vendicativo con cui inseminare la Vita. Di tanto in tanto compaiono sentimenti quali la paura, l’attesa ma, nulla di talmente forte da riportare i personaggi alla memoria del proprio essere umani. Spreco di sperma, disvalore della procreazione. Regressione allo stato precedente la stessa umanità, lì dove il vivente pulsa ma senza forma. È la parte separata e oscura che attraversa l’umanità, oggi. Fernanda ci chiede di vederla. Fernanda ci chiede di riconoscerla.
Ciò che resta in sottofondo in Donne da macello, è – dunque- la Storia, sia la storia legata agli anni del regime, delle sparizioni, del valore zero dato ai corpi dei dissidenti, sia la storia che ha dato la stura alla nascita degli Stati nel continente americano. Le vicende storiche accadute in Argentina sono quelle che vengono lasciate “nella stanza accanto”, alitano tra le pagine del testo, non chiaramente nominate. Ciò che l’Autrice ci mostra non è la mera vicenda che un libro di storia può narrare, documentare con fonti, qui è la storia del grado zero cui si giunge in una situazione limite che va perpetrandosi nel tempo. Cosa scardina un regime nell’animo umano, nel fondo dei fondi della psiche?
fatto impazzire la “normalità” in situazione estrema quale quella della dittatura in Argentina e la resa del suo testo mi dice di una piega colma di riflessioni su uno status di attacco che, prima ancora di essere volto al nemico è volto alla propria umanità. Passaggio apparentemente difficile da comprendere. Passaggio su cui occorre ancora tanta riflessione per dire… Fernanda Garcia Lao si è assunta parola che intaglia i movimenti della distruttività e dell’auto distruttività. Lo ha fatto con maestrìa e, soprattutto, lo ha fatto ricordandoci il pertugio d’uscita.
“Questo progetto fallito mi sta trasformando in meglio. Il cinismo e l’ipocrisia della Giunta sembrano racconti della preistoria. Lontano dalla vita pubblica mi sento imprevedibile. Sembro quasi una persona.”6
Grazie Fernanda per questo passaggio letterario non semplice, né scontato; passaggio di un’attualità cocente, cruna d’ago che ci interroga chiedendoci di posizionarci al di là d’ogni morale perché ciò che è umano, troppo umano, affonda lì la propria radice.

No hay comentarios.:

Publicar un comentario

VII Curso de crítica y creación literarias: la escritura como arte

Los lunes, de 19.00 horas a 21.00 horas Biblioteca del Centro Cultural Ibercaja Inscripción obligatoria Descripción Este curso de c...